mercoledì 17 aprile 2019

La Duecavalli non tradisce mai...


Partimmo, è il caso di dirlo, all’avventura e sulla scia di notizie ed avvisi allarmanti e minacciosi sulla nostra sicurezza, messa a repentaglio, a loro dire, da orde di briganti rapinatori, bande di delinquenti stupratori e combriccole di assassini in cui era possibile imbattersi nella deserta Turchia asiatica: esattamente dove eravamo diretti noi quel primo anno!

Partimmo, invece, non molto preoccupati, anzi, direi tranquilli, sicuri e convinti che fossero allarmismi ingiustificati. Ci muovemmo con la spensieratezza e la leggerezza dei vent’anni, consapevoli di attraversare terre anche pericolose ma ricche di storia e leggenda; visitando mondi remoti e approcciandoci a popoli figli di culture millenarie, città culle del sapere e uomini discendenti di feroci condottieri ed abilissimi guerrieri, ai margini di quello che allora era il mondo conosciuto. 

Partimmo casomai dubbiosi e forse appena preoccupati dell’affidabilità della giovane Charleston. Che invece, per quanto poteva, si comportò egregiamente e non ci voltò mai le spalle. Eppure dovette sorbirsi il peso di quattro baldi giovinastri, bassotti ma non certo esili e leggeri e accompagnati per di più da non pochi bagagli: con tirate anche interminabili, per un totale di 7650 chilometri circa in un mese. 

Partimmo non so con quanti dollari, Tita ed io; di certo quel poco che avevamo in tasca lo sudammo i mesi e l’inverno precedente lavando le scale del palazzo dove viveva mia sorella, appunto per poter affrontare il lungo viaggio. 

Prendemmo il largo dal porto di Olbia, destinazione sempre Civitavecchia. Ricordo bene sulla banchina in attesa dell’imbarco, dietro la nostra utilitaria, la mastodontica e tipica automobile americana con roulotte al seguito e targa Texas: il classico gringo cicciobomba tronfio e sghignazzante, con immancabile cappellaccio western e Avana puzzolente tra i denti. Che cazzo avesse da sorridere lo poteva sapere solo lui. Rideva forse sotto i baffi della nostra piccola e indifesa “DueCiVì”? 

Sogghignava casomai pensando che la Charlie sarebbe stato più comodo averla dentro il cucinino della sua sconfinata casa a quattro ruote come macinino per il caffè? Una cosa è molto probabile, viscido e grasso Paperone, e cioè che un treno di gomme della tua esagerata Buick ha più valore di tutta la 313 di questi miseri Paperini, però, col piffero che all’occorrenza potresti avviare quel transatlantico con una semplice manovella!

La mattina successiva, dal porto laziale, poveri ma impavidi, per niente scoraggiati bensì intrepidi, ci avviammo verso la maestra direzione Nord. Lanciando a briglia sciolta i mitici due cavalli, oltrepassammo il confine nel tardo pomeriggio e montammo le tende nel campeggio di Lubiana, in terra jugoslava, dopo circa 750 chilometri di percorso! 

La serata era tanto uggiosa quanto umida e un’antipatica pioggerellina ci disturbò non poco sotto gli altissimi ontani neri e le maestose querce, nell’irregolare e scosceso fondo del campeggio; la nostra più grande preoccupazione era però riempirci la pancia e poi dormire: la mattina successiva ci aspettava un’altra grande giornata con sostanziosa maratona ed annessa sfacchinata...

La Jugoslavia – letteralmente “terra degli slavi del sud” – o meglio, la Repubblica Socialista Federale, era divisa in sei Repubbliche e due Province autonome:

1: Repubblica sociale della Bosnia ed Erzegovina, con capitale Sarajevo;
2: Repubblica sociale della Croazia, capitale Zagabria;
3: Repubblica sociale della Macedonia, capitale Skopje; 4: Repubblica sociale del Montenegro, capitale Titograd; 5: Repubblica sociale della Serbia, capitale Belgrado, divisa a sua volta nelle Province Autonome Socialiste del Kosovo, capoluogo Pristina e quella della Voivodina, capoluogo Novi Sad;
6 – Repubblica sociale della Slovenia, con capitale Ljubljana.

Il maresciallo Tito era morto nel 1980 e nel frattempo il peggioramento della situazione economica alimentava il divario tra le Repubbliche più ricche, quelle del Nord, ed il resto del paese; cosa che non sarebbe dovuta esistere, viste le ultime concessioni delle istituzioni con la Riforma della Costituzione del 1974, alle spinte autonomiste ormai diffuse.
Breve pillola dall'opera di Renato Demurtas "dal Baule del Viaggiatore," Sa Babbaiola Edizioni.

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